A farle compagnia, oltre ad Emilio, il guardiano del manicomio, ci sono i fantasmi e le storie di tutti coloro che sono scomparsi nella furia della guerra e nella follia nazi-fascista: il marito, i vicini di casa, parenti ed amici.
Dal suo isolamento alla ricerca di salvezza ci giunge l’eco del dolore e delle voci di coloro che hanno subito l’ingiustizia delle leggi razziali, viaggiando sui treni della morte e soffocando l’angoscia nei campi di sterminio, mentre lei cerca di rimanere in bilico tra sanità e pazzia, tra vita e morte, tra salvezza e condanna, capendo come la follia che alberga tra le mura del manicomio in cui vive sia nulla rispetto a quella che ha invaso il mondo che la circonda.
La messinscena teatrale conferisce alla storia un valore universale, capace di evocare sia i meccanismi dell’ideologia antisemita e della deportazione, che le responsabilità degli italiani – spesso complici e qualche volta solidali – e rappresenta un dramma storico e individuale attraverso gesti di poesia, capaci di coinvolgere, far meditare e comprendere la perenne attualità delle politiche di discriminazione (Carla Antonini).